Sentenze di lavoro

Infermiera della casa di riposo che ospita nella sua abitazione anziani dietro compenso: licenziamento legittimo

Il caso: un’infermiera dipendente di una casa di riposo, ospitava nella sua abitazione anziani non autosufficienti – senza alcuna autorizzazione – e dietro compenso. I Carabinieri durante un accertamento presso la sua abitazione vi avevano trovato «quattro donne anziane non autosufficienti da lei ospitate, assistite ed accudite in assenza di qualsivoglia autorizzazione amministrativa e/o sanitaria. All’interno della sua abitazione venivano altresì rinvenute ed identificate due signore che, stando a quanto riferito, provvedevano insieme a lei e/o in sua assenza, alla cura, all’igiene, alla somministrazione dei pasti e dei medicinali alle suddette anziane (…)». I Carabinieri avevano poi accertato che tale ospitalità veniva prestata dietro pagamento di un compenso ed era svolta con continuità, stabilità e organizzazione.

La Casa di riposo, considerata la gravità dei fatti licenziato per giustificato motivo soggettivo l’infermiera.

La Cassazione ha confermato il licenziamento affermando non solo che si è riscontrata la corrispondenza della condotta contestata con l’ipotesi specifica contemplata dal Ccnl, ma ha anche evidenziato una condotta certamente volontaria e continuativa, prestata in modo organizzato («impiegando anche due addette all’assistenza degli ospiti») e «dietro pagamento di un compenso», con ciò ponendo in luce il carattere notevole del relativo inadempimento, meritevole del licenziamento per giustificato motivo soggettivo comminato.

(Corte di Cassazione, ordinanza n. 12989/2024).

Licenziato perché pigro sul lavoro

L‘espressione “scarso rendimento” è stata spesso dibattuta tra i giuristi del lavoro: generalmente riferisce un inadempimento del lavoratore alla sua obbligazione principale, che è quella di svolgere la prestazione lavorativa, ma ovviamente è una descrizione generica. Con la sentenza in questione, i giudici hanno stabilito una sorta di indice dello scarso rendimento, o meglio una soglia, che se si sfora, fa sì’ che il licenziamento diventi legittimo. In particolare la Cassazione evidenzia che, nel contratto di lavoro subordinato: il lavoratore non è obbligato al raggiungimento di un risultato prefissato; il lavoratore è obbligato alla messa a disposizione del datore di tutte le proprie competenze, conoscenze, energie, nei modi e nei tempi stabiliti dal contratto collettivo (CCNL); il mancato raggiungimento del risultato stabilito non costituisce di per sé inadempimento, dato che si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera, un servizio o la realizzazione/compimento di un progetto (tipico del lavoro autonomo). Tuttavia, qualora siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza, accortezza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore e delle declaratorie previste dai vari contratti collettivi, il discostamento dai detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione lavorativa. In sintesi, per poter legittimamente licenziare un lavoratore per scarso rendimento, è necessaria la contemporanea sussistenza di due presupposti che, in caso di contestazione, devono essere dimostrati in giudizio dal datore di lavoro:

  • il licenziamento deve fondarsi su un elemento di carattere oggettivo (l’esistenza di una notevole sproporzione tra i risultati conseguiti e gli obiettivi assegnati);
  • la valutazione di tale aspetto deve essere effettuata in concreto, ad esempio utilizzando quale parametro un rendimento medio registrato da altri dipendenti in analoghe funzioni.

È bene precisare che per la legittimità di tali licenziamenti, la sproporzione tra i risultati attesi e quelli conseguiti sia imputabile al lavoratore, ovvero frutto di un colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali gravanti sul dipendente lavoratore e non sia, invece, ascrivibile all’organizzazione del lavoro o ad altri fattori.

(Corte di Cassazione, ordinanza n. 10640/2024)

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