Sentenze di lavoro

Falso sui fogli presenza, licenziamento legittimo

Il caso in esame ha riguardato un dipendente licenziato in quanto trovato a falsificare i fogli presenza al lavoro. In giudizio, il lavoratore ha lamentato degli straordinari mai retribuiti. I giudici hanno stabilito che la falsa attestazione riportata dai cartellini o dai fogli di presenza sul luogo di lavoro, integra il reato di truffa aggravata a prescindere dal danno economico corrispondente alla retribuzione erogata per una prestazione lavorativa inferiore a quella dovuta. Tale comportamento, infatti, incide sull’organizzazione degli orari stabiliti dall’ente, nonché sul rapporto di fiducia che deve legare questo al suo dipendente; a nulla rilevano – precisa la Corte – eventuali “crediti” del lavoratore nei confronti dell’ente dovuti a straordinari mai retribuiti, in quanto è impensabile l’idea di operare una compensazione.

(Corte di Cassazione Sentenza n. 40461 del 5 ottobre 2023)

Legittimo il licenziamento al lavoratore che falsamente calunnia il legale rappresentante per indebita percezione del Tfr

Legittimo il licenziamento del lavoratore che falsamente voglia mettere l’azienda in cattiva luce denunciando che il legale rappresentante si sia indebitamente appropriato del Tfr. La denuncia da parte del lavoratore in sede penale della società datrice di lavoro e del suo legale rappresentante per appropriazione indebita del Tfr, per i giudici ha rappresentato in maniera certamente dolosa fatti pacificamente non veritieri, con lo scopo di voler intenzionalmente ledere l’onore e la rispettabilità del legale rappresentante dell’azienda, con discredito anche nei confronti degli organi della pubblica amministrazione con i quali la società intratteneva rapporti giuridici. I giudici, nello stabilire la legittimità di tale licenziamento, hanno ricordato che la Cassazione ha più volte chiarito che, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della sanzione spetta al giudice di merito.

(Corte di Cassazione, ordinanza n. 30866/2023)

 

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