LO SMART WORKING DURANTE (E DOPO?) L’EMERGENZA COVID-19: SUGGERIMENTI

 

Il lavoro agile (o “smart working”), incentivato dal nostro legislatore, sta entrando a gamba tesa in molte imprese, principalmente come deterrente al diffondersi del Covid-19. Ma non solo. Analizziamone alcuni aspetti al fine di un corretto utilizzo in azienda: da una piccola sintesi delle sue normative d’origine, fino ad arrivare a come gestire un infortunio in smart working.

L’emergenza Covid-19 potrebbe anche rappresentare uno spartiacque per il lavoro agile. Il mondo delle imprese italiane, spinto dalle circostanze, in molti casi anche per evitare la sospensione dell’attività, si è trovato nella necessità di ricorrere in massa al lavoro da casa, scoprendo in taluni casi che le modalità operative da remoto non confliggono necessariamente con la produttività e che il rapporto costi-benefici può essere più che positivo, non solo per il lavoratore interessato. Con la conseguenza che l’incidenza del lavoro agile è destinata a crescere rispetto al passato anche una volta archiviata l’emergenza coronavirus.

Alla luce soprattutto dell’obbligo di evitare assembramenti, per evitare di affollare gli uffici, le aziende hanno potuto e tuttora possono, pertanto, adottare lo smart working (anche a rotazione o per determinati comparti di attività), come una misura di sicurezza e di prevenzione del contagio. Tuttavia possono decidere di non adottare lo smart working, perché la normativa sia classica sia per l’emergenza non lo ha mai previsto come un obbligo, bensì, ultimissima novità, come un diritto, coem vedremo più avanti.
Vari sondaggi hanno fatto emergere che, per favorire il lavoro agile, le imprese hanno dato la priorità alla messa a disposizione dei collaboratori di adeguate dotazioni tecnologiche, a partire da pc e tablet, per proseguire con sistemi per condividere la rete (smartphone e sim aziendali, piattaforme per riunioni virtuali, chat aziendale). Si sono anche avviati dei corsi di formazione specifici sullo smart working.

In generale, datori di lavoro pubblici e privati che fanno ricorso allo smart working, devono riconoscere priorità alle richieste che arrivano dalle lavoratrici madri nei tre anni successivi alla fine del congedo di maternità, o dai lavoratori che hanno figli con disabilità grave. Lo ha previsto la legge di Bilancio 2019.
In questa fase emergenziale, il decreto Cura-Italia, come modificato dalla legge di conversione 27/2020, ha previsto una corsia preferenziale anche per altre categorie: fino al 31 luglio i lavoratori dipendenti che hanno disabilità gravi o che hanno nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità grave, hanno diritto ad avere lo smart working, se questa modalità di lavoro è compatibile con le caratteristiche della prestazione. I lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie e con una ridotta capacità lavorativa hanno invece la priorità nell’accoglimento delle istanze di smart working. Questi diritti spettano anche ai lavoratori immunodepressi ovvero con familiari conviventi immunodepressi.

Ed ecco la novità: l’articolo 90 del Decreto Legge n. 34 del 19 maggio 2020 (cd. Decreto “Rilancio”) prevede che i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni hanno diritto a prestare l’attività lavorativa in modalità agile fino al termine dello stato di emergenza (attualmente previsto per il 31 luglio 2020), anche in assenza dell’accordo individuale. Il diritto al lavoro agile è riconosciuto, ai suddetti lavoratori, solo se nel nucleo familiare l’altro genitore non sia beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa (ad esempio: NASPI, CIGO, indennità di mobilità, ecc.) o sia non lavoratore. Il decreto Rilancio specifica che il diritto nasce “purchè questa modalità sia compatibile con le caratteristiche della loro prestazione”. Per tale specificazione si resta doverosamente in attesa di chiarimenti da parte del legislatore.

Ad ogni modo, l’azienda può dettare unilateralmente una serie di regole per la prestazione in smart working dei lavoratori. Può stabilire ad esempio fasce di reperibilità telefonica o orari per le riunioni (o le videochiamate), oppure ancora regole per l’uso dei computer. Questo insieme di regole sostituirà, nella fase di smart working “emergenziale”, le regole fissate ordinariamente negli accordi individuali sullo smart working siglati fra l’azienda e i lavoratori, e potrà essere traslato negli accordi individuali (se e) quando si tornerà a sottoscriverli.

Per attivare tale tipologia di lavoro agile, è necessario predisporre una comunicazione unilaterale al lavoratore di avvio dello smart-working, da inviare al lavoratore e un’autodichiarazione di avviso di attivazione di smart-working per motivi emergenziali. Entrambi i modelli dovranno essere allegati alla comunicazione telematica obbligatoria, prevista sul sito del Ministero del Lavoro. Naturalmente i nostri uffici sono a disposizione per effettuare tali adempimenti.
Quest’ultimi dovranno essere effettuati entro le opportune tempistiche. In particolare, la comunicazione va trasmessa entro il giorno antecedente a quello di inizio della prestazione agile (art. 9-bis DL 510/1996). La mancata o tardiva comunicazione, potrebbe essere sanzionata? Sul punto, è doveroso fare una premessa: in questa fase emergenziale il legislatore non ha inteso, almeno in origine, mantenere l’obbligo della comunicazione prevista dall’art. 23 L.81/2017. Tuttavia, la confusione sorta a seguito dell’infelice formulazione, in tema di procedura semplificata, contenuta nel primo DPCM (quello del 23/02/2020), dei messaggi che si sono susseguiti sul portale del Ministero del Lavoro (www.cliclavoro.gov.it) e, infine, delle istruzioni sull’invio massivo pubblicate sul medesimo sito all’indomani dell’emanazione del DPCM 04/03/2020, hanno di fatto rivitalizzato tale adempimento, nonostante negli ultimi DPCM non vi sia traccia dello stesso ma unicamente dell’informativa sulla salute e sicurezza da inviare (telematicamente) ai lavoratori.
D’altra parte, anche prima dell’emergenza Coronavirus non vi sono mai stati gli auspicati interventi ministeriali volti a chiarire la vera natura e gli obblighi amministrativi connessi a tale comunicazione. Il richiamo, infatti, effettuato dal citato art. 23 L.81/2017, alle comunicazioni obbligatorie (assunzioni, cessazioni, trasformazioni di rapporto di lavoro) gestite dai centri per l’impiego non risulta peraltro mai stato integrato con causali relative al lavoro agile. Tutto ciò porta a ritenere, ad esempio, anche se come anticipato non vi sono indicazioni ufficiali al riguardo, che nel caso di stipula di accordo di lavoro agile in costanza di rapporto di lavoro (quindi non all’atto dell’assunzione), il caricamento della comunicazione possa avvenire nei 5 giorni successivi l’inizio della prestazione in regime di SW, mutuando il termine imposto per le comunicazioni di variazione delle originarie condizioni di lavoro.
In ogni caso non sembrano poter essere applicate le sanzioni previste dalla legge, in quanto limitate ad una elencazione tassativa di violazioni, legate alle comunicazioni effettuate al centro per l’impiego, tra le quali non si rinviene il tema di lavoro agile.
A maggior ragione, stante la straordinarietà della situazione attuale, ulteriormente improbabile l’applicazione di una sanzione per mancato o tardivo invio della comunicazione in occasione della procedura semplificata legata all’emergenza.

Ad ogni modo, una volta avviato lo smart-working, l’azienda potrà registrare, nel Libro Unico del Lavoro (LUL), le giornate smart (effettuate fuori dai locali aziendali).

Per quanto concerne gli aspetti assicurativi (Inail) è bene precisare che il datore di lavoro non deve effettuare alcuna dichiarazione, in quanto, di norma, il lavoratore è già tutelato presso Inail. Il lavoro agile costituisce, come già detto, una modalità di effettuazione della prestazione derivante da un contratto di lavoro subordinato. Quindi il lavoratore che opera con tali modalità è a pieno titolo inserito fra i soggetti per i quali è previsto l’ambito di tutela assicurativa infortunistica obbligatoria di cui al D.P.R. 1124/1965.
Ciò in applicazione di quanto disposto dall’articolo 4 di tale norma, che elenca i soggetti compresi nell’assicurazione obbligatoria e, in particolare cita, al punto 1, “coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sa la forma di retribuzione”.
Di norma, il lavoratore che inizia a prestare la propria attività in modalità di lavoro agile è un dipendente già in forza presso l’azienda e, in quanto tale, tutelato, al pari degli altri dipendenti, sulla polizza assicurativa intestata alla ditta.
Qualora l’attività svolta dall’azienda subisca delle variazioni il datore di lavoro è tenuto a darne conoscenza all’Inail nei tempi e modi previsti dal D.P.R. 1124/1964.
La circostanza che la prestazione lavorativa resa in modalità di lavoro agile comporti l’esecuzione della stessa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, non determina una variazione della classificazione della lavorazione.
Come previsto dall’articolo 23, L. 81/2017, il lavoratore agile è tutelato, al pari di tutti gli altri lavoratori, per gli eventi infortunistici occorsi nello svolgimento della prestazione di lavoro (in azienda o nel luogo concordato di svolgimento della prestazione) ovvero per gli eventi che si verificano in itinere.
Tale tutela è rafforzata se ben specificata nell’accordo individuale, ma la possibilità, prevista dai D.P.C.M., di attivare il lavoro agile senza sottoscrizione dell’accordo fra datore di lavoro/lavoratore potrebbe essere causa di svariati problemi in caso di evento infortunistico. Ad ogni modo, in tale ultima circostanza, vale a dire in caso di di infortunio del dipendente in smart working che lo abbia debitamente comunicato al datore, quest’ultimo deve sempre presentare la denuncia di infortunio all’Inail (contattando i nostri uffici) nei termini previsti dall’articolo 53, D.P.R. 1124/1965, e deve farlo indipendentemente da ogni sua valutazione in ordine al fatto che l’evento sia attribuibile a cause di lavoro. La valutazione sull’indennizzabile del caso è, infatti, di sola competenza Inail, mentre il mancato assolvimento dell’obbligo di denuncia comporta l’irrogazione al datore di lavoro/trasgressore della corposa sanzione amministrativa prevista per tale inottemperanza. Qualora il datore di lavoro ritenga di dovere segnalare all’Inail elementi utili alla valutazione, anche negativa, del caso potrà farlo presentando apposita documentazione.
A conti fatti, gli smart worker beneficiano di una riduzione dei costi e dei tempi legati al tragitto casalavoro, si sentono maggiormente responsabilizzati e, soprattutto, riscontrano un miglioramento del proprio work-life balance. Questo potrebbe innescare un circolo virtuoso con effetti positivi in termini di incremento delle perfomances lavorative e della produttività. Però, anche il lavoro agile presenta alcuni limiti che le imprese dovranno attentamente valutare prima di introdurlo stabilmente in azienda. Fra tutti quello che sicuramente presenta maggiori criticità è l’esercizio del potere di controllo sul personale.

I controlli a distanza dei dipendenti, sono consentiti? Come già ribadito, il lavoro agile consente al lavoratore anche maggiore flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro. Tuttavia, il modo necessariamente improvvisato con cui il sistema produttivo si è avvicinato a questo strumento nasconde una forte insidia, vale a dire le aziende potrebbero non essere pronte a gestire correttamente lo smart working. La principale insidia che potrebbe emergere in modo più evidente è la gestione dei controlli sul lavoratore.
Ciascun datore di lavoro infatti ha il diritto di svolgere controlli sul corretto svolgimento della prestazione dei propri dipendenti, senza distinzioni sulle modalità di esecuzione, a patto che siano rispettati i limiti fissati dallo Statuto dei lavoratori.

I controlli vietati: l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ha una particolare rilevanza quando si parla di lavoro agile, perché fissa un principio molto rigoroso. Sono vietati l’installazione e l’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente. Il ricorso a questi apparecchi può essere consentito solo in caso di accordo sindacale o di autorizzazione dall’ Ispettorato territoriale del lavoro. Il Jobs Act (Dlgs 151/2015, articolo 23), in sintesi, ha precisato lo strumento di controllo a distanza è lecitamente installato, il datore di lavoro deve preventivamente informare il lavoratore agile sulla possibilità di eseguire controlli sulla sua prestazione.

I controlli ammessi: se il datore di lavoro ha il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo degli illeciti, può svolgere controlli mirati, (anche a distanza) a patto che siano proporzionati e non invasivi. I controlli devono riguardare solo ed esclusivamente i beni aziendali. Ci si riferisce in particolare del Pc fornito dal datore e della casella di posta aziendale. Su questi beni, il dipendente non ha alcuna aspettativa di segretezza. È bene precisare che tale aspettativa deve essere rimossa in anticipo, prima del controllo, chiarendo che gli strumenti aziendali non possono essere usati per motivi personali perché potrebbero essere oggetto di indagini aziendali.

Si fa rilevare che molte aziende, dopo questa grande sperimentazione di massa del lavoro agile, si stanno interrogando se abbia veramente senso tornare, anche dopo la fine dello stato di emergenza, a lavorare come prima. Twitter e Facebook hanno già annunciato che faranno dello smart working, anche in futuro, la modalità ordinaria di lavoro. E proprio per tornare sul tema dei controlli, sarebbe opportuno, oltre ai regolamenti e agli accordi individuali, predisporre un’adeguata policy sull’uso degli strumenti informatici e sulle modalità di controllo a distanza, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

 

 

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