Il patto di non concorrenza

L’art. 2105 del codice civile che tratta dell’obbligo di fedeltà, prevede che il lavoratore non possa trattare affari in concorrenza con l’imprenditore né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di lavoro dell’impresa. Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro la violazione di questo obbligo può esporre il lavoratore a sanzioni disciplinari che possono condurre al licenziamento.

Tale obbligo di fedeltà, però, viene meno alla cessazione del rapporto e per ovviare a ciò si può stipulare un patto di non concorrenza.

Il patto di non concorrenza è quindi l’accordo attraverso il quale il datore di lavoro e il lavoratore estendono l’obbligo di non concorrenza anche ad un periodo successivo alla cessazione del medesimo rapporto.

In merito alla configurabilità del divieto di concorrenza, la Suprema Corte ha affermato che vi è la possibilità di ricorrere ad un patto regolativo della concorrenza <<ogni qual volta il lavoratore per le conoscenze acquisite nel corso del suo rapporto, possa utilizzare il bagaglio di dette conoscenze in pregiudizio della capacità concorrenziale dell’impresa che gli ha consentito, offrendogli il lavoro, di acquisire e/o affinare la propria professionalità>> (Cass. 19.4.2002, n. 5691).

Tale patto è un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive. Non deve però essere vessatorio nei confronti degli ex lavoratori.

Il codice civile, all’articolo 2125 ne definisce le caratteristiche fondamentali.  A pena la sua nullità, i requisiti necessari sono i seguenti:

  • forma scritta;
  • definizione dell’oggetto;
  • durata predefinita;
  • individuazione di un ambito territoriale di operatività;
  • determinazione di un corrispettivo.

Più nello specifico, dunque, il patto deve innanzitutto essere redatto in forma scritta e deve prevedere un corrispettivo per l’ex dipendente. Inoltre, deve essere circoscritto su determinate attività oggetto del divieto di concorrenza, deve avere una durata limitata e un luogo di applicazione anch’esso circoscritto.

In sostanza non si può limitare a tempo indefinito l’attività dell’ex dipendente ma solo per un tempo oltre il quale anche la conoscenza delle informazioni a suo tempo acquisite possono perdere interesse. Secondo la normativa citata, la durata del patto non può essere superiore a 5 anni per i dirigenti, ridotti a 3 per le altre categorie.

Per quanto concerne il corrispettivo dovuto al lavoratore vincolato al patto di non concorrenza, il compenso è determinato liberamente dall’accordo tra le parti: non può trattarsi di una somma simbolica ma secondo giurisprudenza deve essere congrua con la portata della limitazione all’attività professionale imposta all’ex dipendente (Cass. 4891/1998 e più recentemente Cass. 33424/2022).

L’orientamento giurisprudenziale fa sì che il compenso si aggiri intorno al 15%-25% della r.a.l.

Per quanto attiene all’oggetto, lo stesso può anche essere più ampio delle mansioni che aveva il lavoratore nell’impresa (Cass. 23418/2021), ma non deve limitarlo al punto di impedirgli l’esercizio di altra attività inerente al suo bagaglio professionale (Cass. 5477/2000 e Cass. 15253/2001).

Il corrispettivo definito può essere erogato durante il rapporto di lavoro oppure in un’unica soluzione a fine rapporto. In entrambi i casi le somme sono assoggettabili previdenzialmente (se il patto è stato stipulato prima della cessazione del rapporto di lavoro). Ciò in base alla giurisprudenza di legittimità (Cass. 16489/2009) secondo cui il corrispettivo del patto di non concorrenza è incluso nella nozione di reddito da lavoro dipendente. L’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 234/E/2008 ha esaminato la disciplina relativa ai corrispettivi percepiti da un ex dipendente in relazione al patto di non concorrenza e al riguardo ha:

  • confermato che reddito derivante dal patto è qualificabile come reddito di lavoro dipendente;
  • dichiarato che fiscalmente è assoggettabile a tassazione ordinaria, se erogato durante il rapporto; a tassazione separata, se elargito in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro.

La violazione del patto di non concorrenza costituisce inadempimento contrattuale e legittima le richieste di risoluzione del contratto e/o di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale. L’onere di dimostrare la violazione del patto grava sul datore di lavoro il quale, per la raccolta di eventuali informazioni, potrebbe anche dare mandato ad agenzie di investigazione private.

 

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