Il lavoro giornalistico

Definizione di “attività giornalistica”                                                

Per attività giornalistica, come enunciato dalla Corte di Cassazione in una sentenza del 1995, si deve intendere “la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e all’elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione”. È la giurisprudenza, quindi, a definire l’attività giornalistica, in quanto, nessuna norma del nostro ordinamento la disciplina espressamente, nonostante le varie fonti del diritto:

  • la Costituzione tutela la professione giornalistica all’art. 21, in virtù del quale “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”;
  • il codice civile ingloba il lavoro giornalistico nelle professioni intellettuali (art. 2229 e seguenti);
  • la professione è inoltre disciplinata e tutelata dalla legge istitutiva dell’Ordine professionale dei Giornalisti (Legge 3 febbraio 1963, n. 69) la quale fissa il fondamentale principio secondo il quale deve sempre essere garantita l’autonomia e la libertà di pensiero del giornalista, ferme restando una serie di “nobili limitazioni”: il rispetto della tutela della personalità e della verità dei fatti, la lealtà e la buona fede nella comunicazione, la privacy, il diritto all’oblio, la tutela dei minori, il divieto di immagini indecenti o particolarmente raccapriccianti;
  • infine, la professione giornalistica è regolata anche dal contratto collettivo di settore, che si applica a tutti i rapporti di lavoro che riguardano:
  • giornalisti che prestino con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza attività giornalistica quotidiana
  • editori di giornali quotidiani o periodici (anche elettronici), ovvero agenzie di informazione quotidiana per la stampa o emittenti radiotelevisive private di ambito nazionale o ancora uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali.

Di cosa si occupa il lavoro giornalistico?

Terminato il giretto tra le fonti di diritto, adesso possiamo affermare che per attività giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e all’elaborazione di notizie destinate alla produzione di contenuti testuali e audio-video da diffondere tramite i mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio, web e tv). Nel produrre informazione, il giornalista deve raccontare i fatti in modo chiaro e in buona fede, nel rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati e della deontologia professionale, facendo attenzione a non diffondere le c.d. “fake news”.

Il giornalismo è quindi caratterizzato dalla raccolta, dal commento e dall’elaborazione di notizie (naturalmente di attualità) destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale e dalla tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione.

In sintesi, i tre elementi su cui si basa tale attività consistono nella creatività, nell’intellettualità e nell’intermediazione critica delle notizie. Il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale fra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, nel senso che deve proprio acquisire la conoscenza dell’evento/fatto, valutarne la rilevanza in funzione della cerchia dei destinatari dell’informazione e predisporre un messaggio personalizzato (con apporto soggettivo e creativo).

Uno degli aspetti più rilevanti dell’attività giornalistica è il segreto professionale: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) tutela espressamente le fonti di un giornalista.

Autonomia o subordinazione

Passiamo ad alcuni aspetti “tecnici”, ma anche pratici. Il lavoro giornalistico può essere svolto sia in forma autonoma (partita Iva) che subordinata (come dipendente). La linea che distingue i due predetti piani lavorativi è molto sottile. Sostanzialmente il lavoro giornalistico deve essere ricondotto nell’alveo del lavoro subordinato quando il giornalista viene inserito stabilmente nell’organizzazione aziendale e si mantiene a disposizione dell’editore anche tra una prestazione e l’altra, in modo da poterne eseguire comunque gli ordini e le direttive.

Anche per questo aspetto la giurisprudenza è intervenuta individuando i tratti distintivi dell’attività giornalistica atti a giustificare l’elaborazione di una nozione di subordinazione più attenuata e, successivamente, sono stati identificati gli indici contrari alla subordinazione, Questi ultimi, li riportiamo sinteticamente di seguito:

  • la pattuizione di prestazioni singole e retribuite in base a distinti contratti che si succedono nel tempo;
  • la convenzione di singole, ancorché continuative, prestazioni secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali;
  • la pubblicazione e il compenso degli scritti solo previo gradimento e a totale discrezione del direttore del giornale ovvero commissionati singolarmente, in base ad una successione di incarichi fiduciari (Cassazione 10332/2012);
  • quando viene prestabilita una unica fornitura, anche se scaglionata nel tempo, con unica retribuzione, magari subordinata ad una valutazione di gradimento e commisurata alla singola prestazione (Cassazione 12 febbraio 2008, n. 3320; Cassazione 29 agosto 2011, n. 17723).

La qualificazione del rapporto di lavoro giornalistico diviene ancora più problematica in relazione al rapporto di lavoro dei collaboratori. A tal proposito, sempre grazie alla giurisprudenza è stato possibile individuare l’elenco delle caratteristiche di un genuino rapporto di collaborazione giornalistica con la forma della collaborazione coordinata e continuativa (c.d. “co.co.co.”):

  1. la prestazione del giornalista deve essere personale o almeno prevalentemente personale (Cass. 5698/02 e 8598/04);
  2. la prestazione deve essere continuativa e non meramente occasionale, con impegno costante (Cass 5698/02);
  3. la prestazione deve essere svolta in coordinamento con il committente (Cass. 5698/02 e 24361/08).

Come diventare giornalisti

Per diventare giornalista in Italia, bisogna osservare le disposizioni della legge 3 febbraio 1963 n. 69 , la quale disciplina il lavoro giornalistico come un’ attività intellettuale a carattere professionale contraddistinta dalla creatività, peculiarità e che fa del giornalista un vero e proprio professionista (e non un “semplice” impiegato). È la stessa legge che stabilisce che chi esercita la professione debba iscriversi all’albo, a garanzia dell’opinione pubblica e dello stesso lettore, e l’obbligo di appartenere a un Ordine.

L’Italia, assieme alla Grecia, è l’unico Paese in Europa ad avere ancora un ordine dei giornalisti vigente.

I giornalisti che svolgono l’attività in forma professionale possono appartenere a due categorie:

  • Professionisti, coloro che svolgono in maniera esclusiva la professione giornalistica. Ci sono due modi per diventare giornalista professionista ed essere iscritti nel relativo elenco dell’albo:
    – svolgere un praticantato di 18 mesi presso una redazione giornalistica;
    – frequentare un biennio presso una delle scuole di giornalismo riconosciute dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

In entrambi i casi per diventare Giornalista professionista occorre superare l’esame di idoneità professionale, come recita la stessa legge n.69/1963.

  • Pubblicisti, coloro che contestualmente all’attività giornalistica svolgono altre professioni. Per ottenere il tesserino da pubblicista bisogna seguire una procedura abbastanza simile per tutte le regioni italiane: in estrema sintesi, si apre una collaborazione con una o più testate giornalistiche, si accumula un numero minimo di articoli (e di compensi) nel corso di un biennio, dopodiché si fa domanda e, talvolta, viene richiesto il superamento di un piccolo esame oppure di frequentare un corso di formazione. Il numero di articoli, oppure la retribuzione minima, oppure ancora la presenza o meno di un esame, possono variare da regione a regione.

 

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