Con l’entrata in vigore lo scorso 24 settembre del D.Lgs. 151/2015, è stato variato lo Statuto dei Lavoratori (art. 4) relativamente alla possibilità di controllo a distanza del personale dipendente. La legislazione, ferma sostanzialmente dal 1970, è stata completamente rivista passando da una precedente situazione di divieto (con le opportune eccezioni autorizzative) alla legittimazione dell’impiego da parte delle aziende di sistemi di controllo a distanza dei lavoratori (COMPRESI SISTEMI GPRS). Con il nuovo testo legislativo gli impianti audiovisivi e di controllo possono essere liberamente installati, ma se da ciò deriva la possibilità di controllo dei lavoratori deve essere preventivamente richiesta l’autorizzazione alla Direzione Territoriale del Lavoro o deve essere stipulato apposito accordo sindacale con le rappresentanze aziendali dei lavoratori. La novità legislativa sta nel fatto che, rispetto al passato, se data adeguata informativa al lavoratore, le informazioni raccolte tramite l’utilizzo di impianti audiovisivi ed altri sistemi di controllo possono essere utilizzate per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (quindi anche contestazioni e provvedimenti disciplinari) tenendo presente quanto disposto in materia di privacy (D. Lgs. 196/2003). Come ribadito anche nella nota del Ministero del Lavoro n. 11241 del 1° giugno 2016, l’utilizzo di impianti audio visivi o di altri strumenti di controllo a distanza, senza la preventiva autorizzazione o l’accordo sindacale, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, continua ad essere punito (come nella precedente normativa), con l’ammenda da euro 154,93 ad euro 1.549,37 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno (art. 171 D.Lgs. 196/2003). Come precisato dal Ministero del Lavoro il comportamento illegittimo del datore di lavoro deve considerarsi costituito: indipendentemente dal fatto che l’eventuale apparato di videosorveglianza risulti installato ma non funzionante (il comportamento sanzionato prescinde dall’effettivo funzionamento); anche nel caso in cui il controllo risulti per sua natura discontinuo perché relativo a luoghi in cui i lavoratori si trovino solo saltuariamente; nonostante la presenza di preavviso dato ai lavoratori.
INL: installazione e utilizzazione di impianti audiovisivi
L’art. 23 del d.lgs. n. 151/2015 e il successivo art. 5, c. 2, del. D.lgs. n. 185/2016 hanno modificato l’art. 4 della L. n. 300/1970 adeguando l’impianto normativo e le procedure preesistenti alle innovazioni tecnologiche nel frattempo intervenute. Lo scopo della norma, dunque, rimane quello di contemperare, da un lato, l’esigenza afferente all’organizzazione del lavoro e della produzione propria del datore di lavoro e, dall’altro, tutelare la dignità e la riservatezza del lavoratore.
In ossequio al nuovo portato normativo, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la circolare n. 5 del 19 febbraio 2018, con la quale fornisce indicazioni operative in ordine alle problematiche inerenti l’installazione e l’utilizzazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo, ai sensi del già citato art. 4 della legge n. 300/1970.
In particolare, l’Ispettorato ha innovato – rispetto al passato – su alcuni aspetti legati agli strumenti di controllo che l’azienda può attivare:
- – Possibilità di inquadrare direttamente l’operatore qualora vi siano ragioni giustificatrici legate alla “sicurezza del lavoro” o al “patrimonio aziendale”);
- – Possibilità di non indicare l’esatta posizione ed il numero delle telecamere da installare;
- – Tracciabilità dell’accesso alle immagini registrate attraverso un “log di accesso” per un congruo periodo, non inferiore a 6 mesi. Su questa base, non andrà più previsto l’utilizzo del sistema della “doppia chiave fisica o logica”;
- – Non richiesta l’autorizzazione in caso di installazione di telecamere in zone esterne estranee alle pertinenze della ditta (es. il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all’azienda), nelle quali non è prestata attività lavorativa.
- – Possibile attivazione del riconoscimento biometrico, qualora installato per motivi di sicurezza, senza la richiesta autorizzatoria all’Ispettorato del Lavoro.
Istruttoria delle istanze presentate
L’istruttoria può essere effettuata anche da personale ispettivo ordinario o amministrativo e, solo in casi assolutamente eccezionali comportanti valutazioni tecniche di particolare complessità, anche al personale ispettivo tecnico.
L’oggetto dell’attività valutativa, infatti, va concentrata sulla effettiva sussistenza delle ragioni legittimanti l’adozione del provvedimento, tenendo presente in particolare la specifica finalità per la quale viene richiesta la singola autorizzazione e cioè le ragioni organizzative e produttive, quelle di sicurezza sul lavoro e quelle di tutela del patrimonio aziendale.
Conseguentemente, le eventuali condizioni poste all’utilizzo delle varie strumentazioni utilizzate devono essere necessariamente correlate alla specifica finalità individuata nell’istanza senza, però, particolari ulteriori limitazioni di carattere tecnico.
L’eventuale ripresa dei lavoratori, di norma, dovrebbe avvenire in via incidentale e con carattere di occasionalità ma nulla impedisce, se sussistono le ragioni giustificatrici del controllo (ad esempio tutela della “sicurezza del lavoro” o del “patrimonio aziendale”), di inquadrare direttamente l’operatore, senza introdurre condizioni quali, per esempio, “l’angolo di ripresa” della telecamera oppure “l’oscuramento del volto del lavoratore”.
Parimenti, sempre in tema di videosorveglianza, non appare fondamentale specificare il posizionamento predeterminato e l’esatto numero delle telecamere da installare fermo restando, comunque, che le riprese effettuate devono necessariamente essere coerenti e strettamente connesse con le ragioni legittimanti il controllo e dichiarate nell’istanza, ragioni la cui effettiva sussistenza va sempre verificata in sede di eventuale accertamento ispettivo. Ciò in quanto lo stato dei luoghi e il posizionamento delle merci o degli impianti produttivi è spesso oggetto di continue modificazioni nel corso del tempo (si pensi ad esempio alla rotazione delle merci nelle strutture della grande distribuzione) e pertanto rendono scarsamente utile una analitica istruttoria basata su planimetrie che nel corso del breve periodo non sono assolutamente rappresentative del contesto lavorativo.
Del resto, un provvedimento autorizzativo basato sulle esibizione di una documentazione che “fotografa” lo stato dei luoghi in un determinato momento storico rischierebbe di perdere efficacia nel momento stesso in cui tale “stato” venga modificato per varie esigenze, con la conseguente necessità di un aggiornamento periodico dello specifico provvedimento autorizzativo, pur in presenza delle medesime ragioni legittimanti l’installazione degli strumenti di controllo.
Da ultimo va precisato che il provvedimento autorizzativo viene rilasciato sulla base delle specifiche ragioni dichiarate dall’istante in sede di richiesta. L’attività di controllo, pertanto, è legittima se strettamente funzionale alla tutela dell’interesse dichiarato, interesse che non può essere modificato nel corso del tempo nemmeno se vengano invocate le altre ragioni legittimanti il controllo stesso ma non dichiarate nell’istanza di autorizzazione.
Gli eventuali controlli ispettivi successivi al rilascio del provvedimento autorizzativo, pertanto, dovranno innanzitutto verificare che le modalità di utilizzo degli strumenti di controllo siano assolutamente conformi e coerenti con le finalità dichiarate.
Tutela del patrimonio aziendale
Fra le ragioni giustificatrici del controllo a distanza dei lavoratori l’elemento di novità introdotto dalla più recente normativa è rappresentato dalla tutela del patrimonio aziendale che in precedenza veniva considerato come unico criterio legittimante delle visite personali di controllo.
Tale presupposto necessita però di una attenta valutazione in quanto l’ampiezza della nozione di “patrimonio aziendale” rischia di non trovare una adeguata delimitazione e, conseguentemente, non fungere da “idoneo filtro” alla ammissibilità delle richieste di autorizzazione.
In primo luogo va chiarito che tale problematica non si pone per le richieste che riguardano dispositivi collegati ad impianti di antifurto che tutelano il patrimonio aziendale in quanto tali dispositivi, entrando in funzione soltanto quando in azienda non sono presenti lavoratori, non consentono alcuna forma di controllo incidentale degli stessi e pertanto possono essere autorizzati secondo le modalità di cui alla nota n. 299 del 28 novembre 2017. (Attivazione delle telecamere soltanto ad allarme inserito quindi senza presenza di personale)
Diversa invece è l’ipotesi in cui la richiesta di installazione riguardi dispositivi operanti in presenza del personale aziendale, in quanto in tal caso la generica motivazione di “tutela del patrimonio” va necessariamente declinata per non vanificare le finalità poste alla base della disciplina normativa.
In tali fattispecie, come ricorda il garante della privacy, i principi di legittimità e determinatezza del fine perseguito, nonché della sua proporzionalità, correttezza e non eccedenza, impongono una gradualità nell’ampiezza e tipologia del monitoraggio, che rende assolutamente residuali i controlli più invasivi, legittimandoli solo a fronte della rilevazione di specifiche anomalie. Inoltre, tra gli elementi che devono essere tenuti presenti nella comparazione dei contrapposti interessi, non possono non rientrare anche quelli relativi all’intrinseco valore e alla agevole asportabilità dei beni costituendi il patrimonio aziendale.
Telecamere
Ove sussistano le ragioni giustificatrici del provvedimento, è autorizzabile da postazione remota sia la visione delle immagini “in tempo reale” che registrate.
Tuttavia, l’accesso da postazione remota alle immagini “in tempo reale” deve essere autorizzato solo in casi eccezionali debitamente motivati.
L’accesso alle immagini registrate, sia da remoto che “in loco”, deve essere necessariamente tracciato anche tramite apposite funzionalità che consentano la conservazione dei “log di accesso” per un congruo periodo, non inferiore a 6 mesi.
Quanto invece al “perimetro” spaziale di applicazione della disciplina in esame, l’orientamento giurisprudenziale tende ad identificare come luoghi soggetti alla normativa in questione anche quelli esterni dove venga svolta attività lavorativa in modo saltuario o occasionale (ad es. zone di carico e scarico merci). La Corte di Cassazione penale (sent. n. 1490/1986) afferma infatti che l’installazione di una telecamera diretta verso il luogo di lavoro dei propri dipendenti o su spazi dove essi hanno accesso anche occasionalmente, deve essere preventivamente autorizzata da uno specifico accordo con le organizzazioni sindacali ovvero da un provvedimento dell’Ispettorato del lavoro.
Sarebbero invece da escludere dall’applicazione della norma quelle zone esterne estranee alle pertinenze della ditta, come ad es. il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all’azienda, nelle quali non è prestata attività lavorativa.
Dati biometrici
Il riconoscimento biometrico, installato sulle macchine con lo scopo di impedire l’utilizzo della macchina a soggetti non autorizzati, necessario per avviare il funzionamento della stessa, può essere considerato uno strumento indispensabile a “…rendere la prestazione lavorativa…” e pertanto si possa prescindere, ai sensi del comma 2 dell’art. 4 della L. n. 300/1970, sia dall’accordo con le rappresentanze sindacali sia dal procedimento amministrativo di carattere autorizzativo previsto dalla legge.
Per la videosorveglianza non basta l’ok dei dipendenti
Si segnala sul tema una interessante sentenza della Corte di Legittimità che afferma:
“Il consenso dei lavoratori all’installazione di un impianto di videosorveglianza nei locali dell’impresa non vale a sanare la mancata attivazione della procedura prevista dall’articolo 4 della legge 300/1970, la quale impone l’accordo sindacale o, in difetto, l’autorizzazione dell’ispettorato territoriale del lavoro”.
L’interesse collettivo sotteso alla disciplina statutaria sull’installazione delle telecamere o di altri strumenti da cui possa derivare il controllo a distanza sull’attività dei lavoratori impedisce di attribuire ai singoli dipendenti, benché il consenso sia stato espresso dalla totalità delle persone che prestano la propria attività in azienda, la facoltà di sanare eventuali irregolarità del datore. La Cassazione ha raggiunto queste conclusioni (sentenza n. 50919 , depositata ieri) per il caso di un datore condannato in sede penale a 1.000 euro di ammenda per avere installato 16 telecamere nella propria struttura aziendale, senza previamente raggiungere un accordo con la rappresentanza sindacale interna e neppure avere ottenuto l’avallo dell’ispettorato. Il datore si era difeso sostenendo, tra l’altro, che i lavoratori avevano espresso ex post il proprio consenso sulla presenza del sistema di videosorveglianza in azienda, con ciò superando i profili di illiceità penale connessi alla mancata attivazione della procedura di cui all’articolo 4 della legge 300/1970. La Cassazione non concorda con questa tesi e ritiene, discostandosi da un precedente indirizzo, che l’esistenza di una dichiarazione sottoscritta da tutti i dipendenti in cui sia stato affermato di liberare il datore dagli obblighi del previo accordo sindacale e dell’autorizzazione dell’ispettorato, non abbia portata esimente rispetto alla produzione dell’illecito penale. Le disposizioni dell’articolo 4 in materia di installazione di impianti da cui possa derivare il controllo a distanza sull’esercizio delle mansioni risponde, per la Cassazione, al superiore interesse collettivo alla tutela della dignità dei lavoratori. Per tale ragione, solo le rappresentanze sindacali dei lavoratori, in quanto espressione dell’interesse collettivo e superindividuale alla tutela dei diritti fondamentali in cui si sviluppa il rapporto di lavoro, sono deputate ad esprimere il consenso rispetto all’installazione dei sistemi di videosorveglianza. Il consenso dei lavoratori che operano nell’impresa non risulta idoneo a sanare l’illecito, ad avviso della Cassazione, anche in considerazione del ruolo di parte debole che connota il lavoratore rispetto alla parte datoriale. «Le diseguaglianze di fatto» e la «indiscutibile» sproporzione nei rapporti di forza economico sociali a vantaggio del datore impone di ritenere inderogabile il confronto con le rappresentanze sindacali e, in mancanza di accordo, l’autorizzazione dell’ispettorato per la valida installazione dei sistemi di sorveglianza.