SENTENZE DI LAVORO

 

La revocabilità unilaterale dei buoni pasto

Con l’ordinanza n. 16135 del 28.07.2020, la Cassazione afferma che i buoni pasto non hanno natura retributiva e che, di conseguenza, la loro erogazione può essere unilateralmente e liberamente interrotta da parte del datore di lavoro.
La Cassazione ha dunque confermato la decisione della Corte di Appello Di Campobasso che aveva interpretato la natura dei buoni pasto alla stregua, non già di elemento della retribuzione “normale”, ma di agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale.

Il fatto: il lavoratore ricorre giudizialmente, al fine di sentir dichiarare l’illegittimità della deliberazione con la quale la società datrice aveva unilateralmente deciso di interrompere l’erogazione dei buoni pasto in favore dei propri dipendenti.
L’ordinanza: la Cassazione afferma, preliminarmente, che i buoni pasto non rappresentano un elemento della retribuzione “normale” e che invece sono qualificati alla stregua di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale.
La Suprema Corte ha dunque affermato che il regime della loro erogazione può essere variato anche per unilaterale deliberazione datoriale, in quanto previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la correttezza della deliberazione del datore di lavoro.
Ragionando sulla scia degli effetti prodotti dalla suddetta sentenza, si può ritenere, pertanto, che ai lavoratori in smart working vi possa non essere l’obbligo in capo al datore di erogare i buon pasto (se erogati già nel rapporto contrattuale precedente a quello agile). Naturalmente fatte salve eventuali differenti disposizioni nel contratto individuale o collettivo.

 

Cassazione: ok all’investigatore per accertare se la malattia del dipendente è vera

Con l’ordinanza n. 11697/2020 la Cassazione respinge il ricorso di un dipendente licenziato e ribadisce il diritto del datore di lavoro di far seguire il dipendente da un investigatore privato per verificare se la malattia esiste davvero o se, in ogni caso, le sue condizioni non sono effettivamente compatibili con l’ambiente di lavoro. La vicenda processuale ha visto un lavoratore opporsi al licenziamento per giusta causa intimatogli dalla società datrice. Il giudice ha rigettato il ricorso. Il dipendente ha tentato quindi di far valere le proprie ragioni in Corte d’Appello, ma anche quest’ultima rigetta il suo reclamo, ritenendo legittimo l’incarico conferito dalla datrice a un investigatore privato, per accertare se il dipendente fosse veramente in malattia.
Il dipendente infatti aveva lamentato un trauma contusivo a causa di una caduta dallo scooter procuratosi mentre si allontanava da un cantiere, certificata dal pronto soccorso, che prescriveva assoluto riposo per qualche giorno, con tanto di trasmissione degli atti all’Inail. L’investigatore incaricato lo aveva però sorpreso a pedalare ore ed ore e a camminare con il figlio sulle spalle nel centro cittadino.

 

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