DURANTE LA MALATTIA IL LAVORATORE VA IN MOTO? LICENZIAMENTO LEGITTIMO.
Il caso in esame riguarda un dipendente che durante un’assenza per malattia (dovuta ad un suo infortunio non sul lavoro) aveva organizzato, in più occasioni, delle gite al mare in moto. I giudici, dopo approfondita disanima della vicenda, hanno legittimato il licenziamento disciplinare irrogato dal datore di lavoro, basando la loro decisione su di un principio ormai consolidato dalla giurisprudenza del lavoro, vale a dire il rallentamento del processo di guarigione intenzionalmente provocato da comportamenti del lavoratore.
La mansione del lavoratore era conducente di mezzi per la raccolta dei rifiuti e la sua assenza per malattia era dovuta ad un infortunio proprio – non sul lavoro – nel corso del quale aveva riportato plurime fratture alle costole. Durante tale assenza l’interessato si era messo più volte alla guida sportiva di un motociclo di 500 cc e di peso di oltre 230 kg al fine di recarsi al mare. Avviato il procedimento disciplinare, il medesimo era stato licenziato per giusta causa, prontamente impugnato dal dipendente. In primo grado è stato ritenuto illegittimo il licenziamento e in sede di appello (2° grado), i giudici avevano ribaltato tale decisione, argomentando che, nel caso di specie, la condotta del lavoratore aveva leso in modo irreparabile il rapporto fiduciario. Il dipendente proponeva, quindi, ricorso per Cassazione e al riguardo la Suprema Corte ha confermato la pronuncia di secondo grado specificando che era emerso il carattere volontario e cosciente della condotta del lavoratore la quale condotta aveva sostanzialmente messo a rischio la guarigione.
(Cassazione, ordinanza n. 29280/2022)
NON INDENNIZZABILE L’INFORTUNIO AVVENUTO DURANTE UNA PAUSA CAFFÈ ESTERNA
È stata recentemente diffusa dalla stampa ufficiale la sentenza in trattazione, circa la vicenda che vedeva coinvolta una dipendente della Procura della Repubblica recatasi a piedi ad un bar posto nelle vicinanze del luogo di lavoro per una pausa caffè ed infortunatasi durante il tragitto. L’Inail non aveva riconosciuto l’indennizzo e quindi la lavoratrice aveva agito in giudizio. Nei primi due gradi di giudizio l’Inail era uscito perdente, infatti era stato accolto il ricorso della lavoratrice che sulla base normativa dell’infortunio in itinere – confermata dai giudici – si vedeva riconoscere dall’Inail sia l’indennità di malattia assoluta temporanea che l’indennizzo per danno permanente. La Cassazione aveva però ribaltato completamente quanto statuito dalle corti di grado inferiore, asserendo che l’infortunio non potesse essere ricondotto alla causa di lavoro in quanto la pausa caffè presso un punto di ristoro esterno è da ritenersi un’esigenza non urgente e impellente, motivata da una scelta volontaria. I giudici della Corte Suprema non avevano neanche considerata rilevante la tolleranza espressa dal datore di lavoro in merito alle consuetudini dei dipendenti, asserendo che una mera prassi non potesse estendere l’operatività della nozione di occasione di lavoro. Pertanto il caso è stato chiuso stabilendo che non si configura l’infortunio in itinere quando il rischio sopportato dal soggetto è slegato dallo svolgimento dell’attività lavorativa: infatti la lavoratrice in questione si trovava in strada per una scelta propria, non per la necessità di raggiungere il posto di lavoro o di tornare alla propria abitazione dopo l’esecuzione della prestazione (come previsto dalla nozione di infortunio in itinere).
(Cassazione, sentenza nr. 32473/2021)
Per ulteriori informazioni:
UFFICIO PAGHE
tel. 0173/226611
e-mail libripaga@acaweb.it