Come noto, una delle principali motivazioni addotte a giustificare l’obbligo della fatturazione elettronica era quella di impedire la circolazione di documenti inesistenti.
Negli scorsi anni, in occasione degli invii dei c.d. “spesometri”, spesso si rilevavano fatture scartate o anomale, in quanto riferite a soggetti non presenti in Anagrafe tributaria, oppure a soggetti cessati.
La fatturazione elettronica avrebbe dovuto evitare che il fatto che ignari acquirenti si dovessero trovare nella scomoda posizione di aver contabilizzato, in maniera del tutto inconsapevole, fatture di acquisto rivelatesi poi fiscalmente irregolari.
Con la fattura elettronica, infatti, non è più possibile emettere fattura quando la partita IVA risulta cessata.
Il limite che attualmente si rileva è che non sia più possibile emettere fattura anche se l’emissione avviene nei termini, per effetto di una pratica relativa alla cessazione predisposta con celerità ed evasa prima della trasmissione delle fatture elettroniche, che come noto beneficiano di 12 giorni concessi per l’invio.
È bene sapere che l’Agenzia delle Entrate, una volta processata la pratica, considererà la partita IVA cessata in senso assoluto, e come tale non più abilitata alle fatture elettroniche, senza effettuare un controllo di coerenza tra data fattura, data di trasmissione della fattura stessa e data della cessazione della partita IVA.
Si tratta, evidentemente, di un problema connesso al Sistema di Interscambio, che effettua il controllo di coerenza solo sullo status di “cessato”, e non sullo status di “cessato in data”, rendendo, al concorrere delle condizioni sovra riportate, impossibile l’invio delle e-fatture, seppure le stesse siano tempestive.
Al fine di evitare di incorrere nel caso, è opportuno posticipare quanto più possibile la trasmissione della pratica di cessazione, sempre nel rispetto dei 30 giorni, ma post invio di tutte le fatture elettroniche ancora da trasmettersi.
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