L’inizio di un rapporto di lavoro fa sorgere, come noto, delle obbligazioni ad entrambi le parti che lo hanno sottoscritto: la prestazione lavorativa, obbligo in capo al dipendente; il versamento della retribuzione e della relativa contribuzione agli enti previdenziali/assistenziali, in capo al datore di lavoro.
IL DATORE NON VERSA I CONTRIBUTI. QUALI SONO LE CONSEGUENZE?
Qualora al momento del versamento dei contributi il datore di lavoro non abbia liquidità sufficiente per il pagamento, oppure ne riesce a versare solo in parte (riservandosi di versare la parte restante in un momento successivo), può essere esposto al rischio di sanzioni penali, oltre che civili.
Infatti, nell’aliquota contributiva complessivamente applicata dal datore di lavoro, per il calcolo dei contributi di ciascun lavoratore, è inclusa una quota di contributi che è posta a carico del lavoratore e che il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, trattiene per poi obbligatoriamente versarla all’erario.
Quindi, nel caso di omissione totale del versamento delle ritenute previdenziali, l’illecito penale si realizza automaticamente in quanto il debito contributivo che ne scaturisce comprende sicuramente anche la quota a carico lavoratore.
Chiariamo con un esempio:
• azienda con meno di 15 dipendenti; periodo 08/2019;
• aliquota complessiva, da versare al 16 settembre, per il personale dipendente: 40,07% (di cui a carico dipendente 9,19%);
• supponendo che il lavoratore abbia un imponibile, da contratto collettivo, di € 1.700,00, l’importo complessivo dei contributi da versare ammonta ad € 681, 00 dei quali, una somma pari ad € 156,00 rappresenta la quota di contributi a carico del dipendente trattenuta in busta paga (il 9,19% di cui sopra);
• in caso di pagamento parziale dei contributi, per non incorrere nel reato penale, sarebbe necessario versare almeno € 156,00.
In sintesi sono due le fattispecie sanzionatorie in caso di mancato versamento contributivo (art. 2 comma 1-bis del D.L. 463/83 sostituito dall’art. 3 comma 6 del Decreto Legislativo 8/2016):
– una sanzione di tipo penale: reclusione fino a 3 anni e multa fino a 1.032,00 euro:
– una sanzione pecuniaria amministrativa: da 10 mila a 50 mila euro in caso di versamenti omessi fino a 10 mila euro l’anno.
Ad ogni modo, regolarizzare i contributi previdenziali dei propri dipendenti si può, ma ciò non esime il datore di lavoro dall’assumersi la responsabilità penale dell’omissione commessa e non lo protegge dalla denuncia penale effettuata dall’Inps. Il legislatore, nel 2016, ha introdotto la cosiddetta depenalizzazione, tramite la quale si prevede la non punibilità con la sanzione penale e il venir meno dell’illecito amministrativo qualora il versamento delle omesse ritenute venga effettuato entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione (ai sensi del comma 1-bis, art.2, Legge 638/1983).
Vediamo nel dettaglio.
SANZIONE AMMINISTRATIVA
La sanzione prevista, al di sotto della soglia dei 10.000 euro, si configura come illecito amministrativo il cui procedimento si avvia con la notifica dell’accertamento della violazione.
Il legislatore ha mantenuto la previsione di non punibilità a fronte di un comportamento attivo da parte del datore di lavoro, qualora il versamento venga effettuato entro tre mesi dalla contestazione o dall’accertamento della violazione.
L’atto di contestazione assegna al datore di lavoro il termine di 3 mesi per il versamento delle ritenute omesse, che, ove effettuato nei termini previsti, costituisce causa di non assoggettabilità alla sanzione amministrativa (condizione di non punibilità). Il datore di lavoro che non provveda entro i 3 mesi, potrà versare, entro i successivi 60 giorni, l’importo della sanzione in misura ridotta, ai sensi dell’art. 16 della Legge 681/1981.
Tale norma prevede il pagamento in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione o, qualora più favorevole, pari al doppio del minimo.
L’assenza del pagamento nei termini assegnati consentirà l’avvio del procedimento di emissione dell’ordinanza ingiunzione per l’irrogazione della sanzione pecuniaria fino alla misura edittale.
SANZIONE PENALE
Il superamento della soglia conferma la natura penale dell’illecito. Tale condizione sarà verificabile solo alla scadenza dell’annualità considerata, dopo il 16 gennaio dell’anno successivo.
Anche per questa fattispecie, verrà assegnato al datore di lavoro un termine di 3 mesi per il versamento delle ritenute omesse. Il versamento nei termini costituisce causa di non punibilità.
Il mancato pagamento entro i termini assegnati, sarà seguito dalla denuncia di reato all’Autorità Giudiziaria. I 3 mesi infatti (90 giorni) sono un termine perentorio. Anche se il pagamento avvenisse integralmente al 91 esimo giorno, scatterà comunque la denuncia all’Autorità Giudiziaria e poi sarà il giudice a valutare le conseguenze.
È bene ricordare che la responsabilità per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali deve essere sempre ricondotta al soggetto che ha la responsabilità legale dell’adempimento alla data di scadenza del termine previsto per il versamento contributivo. In particolare:
– nel caso di società di capitali (SpA) si tratta del rappresentante legale;
– nel caso di SNC si tratta di tutti i soci;
– nel caso di SAS si tratta del socio accomandatario;
– nel caso di ditta individuale si tratta del titolare della ditta.
IL DATORE NON PAGA LO STIPENDIO. QUALI SONO LE CONSEGUENZE?
In caso di mancato o ritardato pagamento dello stipendio, il dipendente può esigere le sue spettanze e può procedere, nei confronti del datore di lavoro, con delle azioni che potrebbero svantaggiare il datore di ulteriori costi oltre che interessi.
Generalmente, il pagamento della retribuzione avviene ogni mese, con l’elaborazione del cedolino paga, ma si possono concordare tempi diversi. In linea di massima bisognerebbe pagare lo stipendio a lavoratori entro un giorno ragionevole del mese successivo al mese lavorato dal prestatore (in alcuni casi il termine è indicato dal CCNL di riferimento).
Se il datore non vi ottemperasse, il dipendente che attende di ricevere lo stipendio, trascorso un tempo che supera il ragionevole periodo di cui sopra, può inviare al datore di lavoro un sollecito di pagamento, rivolgendosi ad un avvocato, oppure all’Ispettorato del Lavoro, oppure ancora al suo sindacato.
Si ricorda che ormai vige il divieto di pagamento degli stipendi in contanti. Le sanzioni per chi viola tale divieto, anche per gli acconti di stipendio, vanno da 1.000 a 5.000 euro, con possibilità di riduzione a 1.667 euro.